Paolo Monti

Rendere visibile il non visibile

Rendere visibile il non visibile

Paolo Monti

Paolo Monti sin dagli anni ’80 opera nella sfera delle arti visive realizzando opere meta-ambientali tese ad assottigliare la soglia percettiva tra visibile e non-visibile.  Immagini possibili con tendenza a verificarsi, dove l’unica costante è il mutamento.  Una ricerca posta al limite tra Arte e Scienza che si realizza in opere in cui l’osservatore, attraverso il coinvolgimento attivo, diviene soggetto partecipante in grado di modificarle.  Opere sistemiche che si realizzano attraverso processi generativi e di autogenerazione (autopoiesi).  L’ampiezza della prospettiva sistemica di Gregory Bateson è di riferimento nella pluralità dei linguaggi impiegati.

[…] convogliando nelle sue opere l’intuito acquisito nelle ultime teorie delle scienze naturali, andando oltre la mera rappresentazione pittorica, verso un dinamico concetto tra osservatore e osservato; l’uomo e l’universo … Il concetto di un mondo sottilmente interconnesso nel quale, e attraverso il quale, siamo intimamente collegati l’uno all’altro così come all’universo, assimilato dal nostro intelletto ed abbracciato dal nostro cuore, può essere parte della risposta dell’umanità verso le sfide che adesso ci accomunano. 

L’arte ha un ruolo importante nell’articolare questa risposta attraverso il veicolo proprio dell’estetica.  

Dobbiamo, perciò, essere grati a Paolo Monti per averci dimostrato, attraverso la sua arte, che noi siamo parte del mondo che ci circonda, parte di una realtà sempre in mutamento che può essere caleidoscopica sulla superficie, ma che ha senso e significato ad un livello più profondo, maggiormente informato scientificamente o esteticamente intuitivo e sofisticato.
-tratto da “Una nota sul lavoro di Paolo Monti” di Ervin Laszlo in: Paolo Monti, Musis 1998-

[…] La trasformazione dell’esistente nell’arte come nella scienza, può seguire percorsi diversi, in un caso elaborando concetti e teorie, nell’altro rappresentando ed interpretando la realtà, oltre che con gli occhi, anche con il cuore e con la mente.   Per conoscere questa realtà è possibile, secondo una visione integrata della cultura, fare uso di fenomeni e processi scientifici, così stimolando non soltanto la curiosità del cervello dell’osservatore, ma anche il suo senso critico ed i suoi sentimenti.
-tratto dalla “presentazione del catalogo Paolo Monti” di Luigi Campanella in: Paolo Monti, Musis, 1998-

    […] Questa tematica trova un’affascinante trattazione nell’opera di Paolo Monti.   Attraverso l’uso di strumenti tecnico-scientifici l’autore trasforma l’evento fisico in un’opera visualmente tangibile, dove emozioni, biologia, scienze dei materiali, fisica, chimica diventano così un “mixage” scientifico da combinare con l’esperienza artistica.
-tratto da “Flottage” di Luigi Campanella in: Musis e Paolo Monti, Musis 1996-

    […] Collocandosi in un’area che ha avuto ed ha parte importante nella storia dell’arte, Monti utilizza materiali e processi tipici della tecnologia per costruire “macchine” la cui finalità non e’ tanto mostrare i nessi, ormai evidenti tra arte e scienza, quanto ricercare una possibile “quarta dimensione”.   Un luogo mentale, cioè, dove percezione e immaginazione, razionalità ed emozione, possano coesistere.
-tratto da “Paolo Monti” di Cristiana Perrella in: Tema celeste, n. 42-43-

[…] Una vera scientificità dentro il fare artistico è rara, e diventa rivendicazione se raffrontata ai due versanti maggioritari del dialogo risentito fra arte e tecnologia (nel cui contesto sfuggente sembra comodo rubricare anche Monti).   Da una parte il primato dell’immagine e della performatività tecnologica, che tratta con enfasi spettacolare e virtuosismo tecnico il linguaggio elettronico.   Dall’altra un atteggiamento di derivazione poverista e di neoavanguardia, che sottopone l’ambito tecnologico a prove critiche, a risultanze problematiche e spesso beffarde.   In ambedue i fronti appare fondamentale conferire un plusvalore estetico alle presenze tecnologiche, come per redimerle da un vizio d’origine (la scientificità, verosimilmente).   
    Monti è sempre stato estraneo e diverso rispetto a queste due polarità, dato che il suo fare conserva ogni volta il rigore e la fantasia della scienza nell’ambiguità costitutiva dell’esperimento e della magia, del gioco e della dimostrazione.   Che inoltre si arricchisce di stratificazioni e sottotesti in direzione di una nuova e attuale apologia della ragione scientifica: come sostanza speculare della ragione creativa.   (La diversità di Monti è stridente specie nel suo Paese, ove gli abitanti – il bel paradosso è di Giulio Bollati – si sentono postmoderni senza esser stati prima moderni).
– tratto da “Fibrillazioni (per Paolo Monti)” di Gilberto Pellizzola in: Paolo Monti Vierdimensional2 2001-

    […] Paolo Monti affida la sua sintesi tra forma e significato ad una verifica fenomenologica, o meglio alla rilevazione ed alla quantificazione del fenomeno. Ma se fosse solo questo, il tutto rientrerebbe in un’ottica scientifica che attiene alla valutazione del reale, delimitandolo in costanti periodiche o variabili che poi si chiamano leggi.  Al contrario in questo caso l’artista si appella alla scienza non solo per riprodurre il fenomeno, ma anche per collocarlo in una dimensione estetica che non chiami in causa le categorie del bello, ma quelle di un intelletto puro, in una accezione pressoché neoplatonica … in Parole povere l’oggetto estetico non c’e’ più, sostituito da una materia irretita da un circuito di linguaggio fenomenico e convenzionale. Una sorta di performance della materia.   Nelle opere di Paolo Monti esiste una progettualità che pone già la posta in gioco, ma sarà la materia stessa ad operare e a fondare un atto, che, al di là della nozione di verifica scientifica,  ed agisce …  Tutta la processualità di Monti raggiunge una nozione di evento estetico provocato dall’autore ma totalmente indipendente.
-tratto da “Paolo Monti. Performance della materia” di Ada Lombardi. 1992-

    […] La dimensione dello sguardo psico-fisiologico cambia in continuazione, l’arte la registra e ne fa conoscenza.   Paolo Monti non sfugge a questa realtà dell’arte e, scandaglia la propria sensibilità e la propria attiva percezione alla ricerca di un sentire e di un vedere diverso.   Fin dall’inizio, per Monti, il traguardo era rendere visibile il non visibile, aguzzando la vista in una qualche altra dimensione per scoprirsi non solo uomo, ma percettivamente “altro”. Anche la scienza in fondo fa proprio questo, e cioè spinge oltre ed altrove i confini della dimensione umana, analizzando tutto, osservando e appropriandosi dell’osservato.
-tratto da “Rendere visibile l’invisibile” di Ada Lombardi in: IX Settimana della Cultura Scientifica Italiana, Musis 1999-

[…] L’interattività e’ presente nei lavori di Paolo Monti, che fin dagli inizi della sua ricerca concepisce l’opera come “fenomeno” in grado di promuovere una qualità percettiva diversa dall’ordinario … in cui la processualità dell’opera e’ dichiarata, attivando una percezione particolare nell’osservatore, la cui attenzione e’ portata sui fenomeni primari e semplici … L’artista si limita ad orientare una visione alternativa che ribalta quella abituale…L’idea stessa di visibilità che e’ alla base del concetto di opera, modifica i suoi presupposti, quasi che Monti spingesse verso la percezione dell’invisibile.
-tratto da “L’opera partecipata” di Lucilla Meloni, in: L’opera partecipata, Sala 1 n. 76, 1998-

    […] La questione tende a essere sotterranea all’evento: (in)visibile a queste categorie concettuali.  Il problema dipende semplicemente da come ci si vuole proiettare su un’altra “entità”. La scommessa dell’arte, allora, diviene una scommessa di mutamento interno all’individuo.   Forse è la prossima rivoluzione possibile …  E’ all’interno di questo ambito che si situa la ricerca artistica di Paolo Moni.   L’uso di mezzi tecnologici diviene pretesto per esplorare una differente concettualità che va a toccare problemi filosofici relativi alla identità dei soggetti, ma anche di interpretazione del mondo e della realtà.
-tratto da “Paolo Monti e l’identità dei soggetti” di Gabriella Dalesio in: Trovaroma di Repubblica, n. 284-

    […] Il tema della partecipazione del fruitore al definirsi dell’evento estetico e quello del mutamento dell’opera attraverso il tempo sono due argomenti di riflessione attorno ai quali, precedute e confortate dall’esperienza del gruppo Fluxus, hanno spesso lavorato le cosiddette Neo Avanguardie degli anni 60 – 70.  Assolutamente estraneo a qualsiasi logica di remake e in nessun modo interessato alla pratica di utilizzare connotazioni linguistiche del recente passato semplicemente per rimarcare la propria appartenenza ad un determinato schieramento a sfondo generazionale, Paolo Monti questi temi ce li ripropone entrambi e non tanto rivisitandoli in chiave attualizzata quanto tornando ad incontrarli entro un universo di discorso assolutamente caratteristico della nostra epoca: quello che fa capo al concetto di virtualità … Non solo dunque trasformazione dell’opera e partecipazione (volendo anche corale) del pubblico legate tra loro in tempo reale, ma anche trasformazione dello spettatore come trasformazione dell’opera e sintonia di questa con il ciclo vitale di quello.  In altre parole una bellissima dimostrazione del fatto che la virtualità non e’ un destino ineluttabile che immancabilmente ci farà ricadere nelle mani del grande fratello di turno, ma una nuova forma di potenziale epistemico tecnicamente supportato che sta a noi utilizzare per il meglio, ovvero in maniera creativa.
-tratto da “Il virtuale creativo” di Paolo Balmas in: Quadri & Sculture, n. 26-

    […] Anche per Paolo Monti si e’ parlato di realtà virtuale. Ma lui spiega che il suo è un uso “a ritroso” delle possibilità del software, un modo per tornare alla fisicità.  La sua stanza con i raggi infrarossi (sempre alla Quadriennale) che evidenziavano l’impronta degli osservatori a seconda della loro temperatura corporea, non ha niente a che fare con la simulazione.  Il computer è uno strumento che rivela le radiazioni termiche.  La mia materia è naturale, è il calore del corpo.   Io lavoro con la realtà, mi piace restare sulla soglia di visibile e invisibile.
-tratto da “E’ in mostra sul pc l’avanguardia telematica” di Arianna Di Genova in: L’Espresso, 21 novembre 1996-

    […] Paolo Monti esemplifica un’altra delle categorie di N.Q.C.: l’ho intitolata trasferimenti e riguarda quei rapporti di passaggio da un medium dinamico alla staticita’ del quadro … Monti ne rappresenta un prototipo radicale e ricco di caratteri aperti.  Assomma particelle di altre strade dalla digifoto alla pictofoto, passando per overfoto e tecnobody.   Ma la differenza con quelle vie appare netta: come dicevo sopra, il rapporto formativo dell’opera avviene attraverso un’elaborata tecnologia esterna al pannello, mentre il quadro non fa altro che formalizzare il trasferimento di un processo già chiuso.  Nelle opere di Monti non esiste ritocco digitale, viraggio o modifica di alcun genere; l’effetto visibile è la conseguenza di un esperimento atipico riconducibile al principio della termocamera a raggi infrarossi.
-(tratto da “Paolo Monti” di Gianluca Marziani in: “N.Q.C. Arte italiana e tecnologie: il Nuovo Quadro Contemporaneo”, 1998-

    […] La pratica artistica e’ un’anomalia organizzata.   E disciplinata in linguaggio.  Al di fuori di questo, ci sono solo le chiacchiere sulla “creatività”.  Il lavoro di Paolo Monti gira costantemente – e ormai da tempo – attorno a questa evidenza e a questa consapevolezza, attraverso il filtro (e il codice) di una strumentazione che va dalla più prosaica manualità fino alla più sofisticata apparecchiatura scientifico-tecnologica … Nel lavoro di Paolo Monti certamente si da’, si offre il “meraviglioso”, il Thaumazein (iper) tecnologico: a vari livelli di potenza e di seduzione, ma indubitabilmente si da’.   Ma il fatto è che i processi tecnologici (su base fisica o chimica) sono semplicemente mostrati senza nessuna elaborazione particolarmente intrusiva da parte dell’artista.  Monti non è alla ricerca del lato “immaginativo”, “estetico” della Tecnica; non v’è in lui alcuna patetica pretesa ideologica di “riscattare” umanisticamente la “Tecnica” fornendola “poesia” o “creatività”.  Qui la tecnologia è utilizzata in modo che essa produca autonomamente, spontaneamente il proprio thaumazein. Ma perché ciò accada, bisogna – con memoria duchampiana – “metterla in posizione”.  E questo solo un artista può farlo.
-tratto da “Fino al nulla” di Massimo Carboni in: Paolo Monti, Musis 1998-